CANICOLA (racconto inedito)

CANICOLA (racconto inedito)

racconto di Beattrice Masi

 

Déjanos ir contingo a Tir nar nOg, mamá. 
Déjanos montar en el caballo de Oìsin. 
Déjanos estar para siempre junto a ti. 
(Sara Lorenzano, La estirpe del silencio)

Oggi, martedì dodici agosto, hanno ritrovato le mie ossa, sbiancate dal sole. Sono scomparsa quindici anni fa, durante un temporale estivo. Era un martedì anche allora, di agosto. In quel periodo lavoravo tutti i pomeriggi al bar di mia zia, volevo racimolare i soldi per il motorino. Ora di anni le mie ossa ne hanno trentuno, ma io ne ho sempre sedici. Forse sono come Susana San Juan, morta e sepolta e ancora così piena di coscienza.
Il giorno che mi piaceva di più al bar era il martedì, quando arrivava il camioncino che ci riforniva di caffè, gelati e pacchetti di patatine. Il martedì mettevo sempre la gonna, quella a vita alta a fiori che mi aveva regalato mia cugina. Andrea, il figlio del fornitore, ci mise un po’ a notarmi, ma alla fine un giorno mi chiese di andare al lago, e gli diedi un bacio.

I pomeriggi di agosto nel centro Italia, sono un buco nel tempo fatto di caldo torrido e strade desolate; di gatti che si riposano prima delle azzuffate serali; di autobus vuoti che portano chissà dove; sono serrande abbassate e negozi chiusi; sono vecchi che giocano a carte nel sole canicolare. I martedì pomeriggio – incluso quello della mia morte – li passavo al bar, a portare caffé ai vecchi e a pensare a quanto fossero soffici i capelli neri di Andrea.
Quando hanno trovato le mie ossa non c’erano macchie di sangue né schizzi di caffé, erano bianche e candide come le lenzula estive, lavate dalla pioggia e asciugate al sole.
Che strano che le mie ossa siano saltate fuori proprio un martedì. Quel giorno avrei anche dovuto dar da mangiare al pesciolino rosso che avevo nascosto insieme a Francesca in una catapecchia abbandonata nel centro storico; forse era morto pure lui, chissà. Prima di tirarmi su la gonna anche l’uomo che mi ha ucciso mi ha chiamata pesciolino, e poi mi ha lasciata a boccheggiare con il sangue alla gola. “Devi essere contenta, che ti voglio così tanto. Non dire di no, pesciolino.”

Ad agosto nel centro italia non piove mai, ma se piove ne tira giù a secchiate e pare che il cielo stia lì lì per cascarti addosso. Quel giorno mia zia era andata via presto e avevo chiuso io, poi avevo accettato un passaggio fino a casa. Abitavo vicino al lago, e per arrivare a casa mia si doveva scendere per uno stradone lungo in mezzo ad alberi e cespugli che terminava in venti metri di basolato romano. Quando sono salita in macchina ho visto il lago che si agitava sotto la tormenta nel buio della sera. L’uomo che guidava ha girato prima del basolato, si è inerpicato su per una salita sterrata nel bosco mentre io cercavo di gridare e uscire dalla macchina. Nessuno mi ha sentita, i tuoni erano troppo forti. Mi ha trascianata fuori e mi ha spinto in una delle grotte preistoriche scavate nella roccia lavica. Mi ha tirato su la gonna a fiori e poi mi ha lasciata a marcire. Nessuno mi è mai venuto a cercare lì dentro, le mie ossa sono state tirate via dalla pioggia di un altro acquazzone.

Qualcuno dovrà organizzare il funerale – mia madre, forse. Magari le mie ossicine bianche la strapperanno alla morte in vita a cui è stata condannata in questi anni; magari in vecchiaia tonerà a vivere per un po’.
Mi domando se il mio assassino è morto o se si presenterà al funerale, vestito di nero e per mano alla moglie, una coppia di vecchi dall’espressione asfittica e i vestiti volgari. E chissà se ci sarà suo figlio Andrea, e se ha ancora le labbra morbide come quel giorno al lago.

1 Commento

  • maria assunta fanasca Posted 2 Marzo, 2020 12:27 pm

    Racconto dalla trama forte e si legge piacevolmente.

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