FOCUS – “Hey, sembra l’America” di Michele Di Mauro e John C. McLucas

FOCUS – “Hey, sembra l’America” di Michele Di Mauro e John C. McLucas

Un discorso sul libro Hey, sembra l’America (BE, Novembre 2020) tra l’autore Michele Di Mauro e il curatore della prefazione John C. MCLucas

 

Riempio il bicchiere di ghiaccio e smetto solo quando i primi cubetti cominciano a scivolare sull’orlo andando a frantumarsi nel lavandino. Ecco, dico tra me e me, così può bastare. Prendo la bottiglia di Bourbon e comincio a versare delicatamente. Il liquido tiepido scivola tra i cubetti che si frangono con crepitii sottilissimi. Le narici si riempiono di aromi dolci di vaniglia e fieno falciato, con richiami di frutta secca. Dovrei aggiungere una foglia di menta, ma all’ultimo mi sono accorto che non ce l’ho. La ricetta me l’ha passata John, un caro amico che ha accettato la mia richiesta di scrivere una breve introduzione al mio libro e di questo, gliene sarò eternamente grato.

Dr. John C. McLucas, Professore emerito di italiano e latino presso la Towson University, autore di numerosi articoli sulla tradizione epica in Italia, in particolare Ariosto; traduttore del poema cavalleresco ‘Il meschino’ di Tullia d’Aragogna, versione che uscirà nel 2021; autore del romanzo ‘Dialogues on the beach‘ 2017 e del sequel ‘Spirit’s tether’ che uscirà in autunno di quest’anno; italofilo dichiarato che da quarant’ anni dà ai suoi cani e gatti nomi esclusivamente italiani. E come se non bastasse, al di là della personalità con un così grande personale, John incarna alla perfezione l’equilibrio armonico tra profonda umanità e raffinata eleganza.

Attivo la videoconferenza di Zoom e quando John mi raggiunge in questo spazio virtuale, entrambi alziamo i bicchieri abbozzando un cin cin telematico. Normalmente sarei andato a trovarlo a casa sua, avremmo chiacchierato per un paio d’ore nel suo backyard che ha la stessa grazia di un giardino pensile rinascimentale sorseggiando un Manhattan in tazze d’argento. John ha battezzato la sua dimora ‘Palatino’, una stupenda casa a schiera a tre piani con mattoni rossi, gradini in marmo bianco e alti soffitti situata nel quartiere di Bolton Hill a Baltimora. Non mi sorprende che molti residenti illustri abbiano vissuto da queste parti, tra cui F. Scott Fitzgerald, Woodrow Wilson e Florence Rena Sabin, prima donna a diventare professore universitario presso la prestigiosa università Johns Hopkins.

John, poiché ti trovi nella privilegiata situazione di poter leggere i miei scritti conoscendo a fondo sia la cultura americana che quella italiana, che idea ti sei fatto di questa scuola raccontata da Mr.D un insegnante italiano trapiantato in America?

Leggendo i tuoi pezzi, vedo la grande indipendenza che ogni ragazzo americano ha sviluppato. Gli studenti americani di questo periodo sono stati incoraggiati fin dall’infanzia a dire la propria; ci sono madri in America che preparano cinque cene diverse ogni sera, o che permettono ai figli di ordinare hamburger da McDonald’s invece di mangiare a tavola con la famiglia perché è importante che ogni singolo cittadino americano abbia la sua libertà personale, e questo traspare nella grande franchezza che sfocia nella spontaneità degli alunni di Mr. D. Un altro aspetto interessante è che i ragazzi delle tue storie dimostrano una grande vulnerabilità rispecchiando questa crisi di identità che stiamo affrontando negli Stati Uniti in questa fase storica. Il fatto che gli alunni di Mr. D non hanno filtri li rende estremamente indifesi e così lo stesso alunno può risultare a seconda della situazione arrogante, innocente, spaurito senza soluzione di continuità e questo fa una certa tristezza.

L’ultima volta che ci siamo visti di persona mi hai detto che il mio libro, con le dovute distanze, ti ricordava ‘Up the down staircase’ un best seller del 1964, la storia di una giovane professoressa di letteratura americana che si ritrova a insegnare nei ghetti di New York e a rivedere la sua immagine idealizzata dell’insegnamento.

La vulnerabilità dei ragazzi in questo libro va di pari passo con la vulnerabilità dell’insegnante che impara delle cose che non corrispondono al suo idealismo borghese. La protagonista di Up the down staircase così come Mr. D rimane vittima del suo idealismo incondizionato e quasi sorpresa a volte dall’aggressività di alcuni dei suoi alunni. Eppure, con il passare del tempo studenti e insegnante riescono a trovare un punto d’incontro che si poggia sul rispetto delle differenze sociali e culturali che a tratti diventa scoperta. Mr. D mette in gioco il suo essere straniero in classe e questo rende la conversazione tra studenti molto più variegata. Ad ogni modo è davvero avvilente vedere che a distanza di cinquant’anni dall’uscita di Up the Down staircase le barriere sociali, razziali non si sono assottigliate, anzi…

Le storie di Mr. D del romanzo sono ambientate in North Carolina nel tentativo di restituire un’immagine di America più rurale… L’idea era di discostarsi dall’idea che a volte si ha nell’immaginario italiano di un’America fatta di grattacieli e strabiliante modernità, cosa ne pensi?

Il North Carolina è complicato, come vedi anche nella politica, è uno stato viola, nel senso che c’è un egual numero di Repubblicani e Democratici. In passato Boone in North Carolina ricordava un paesotto della Calabria, oggi le cose sono cambiate e accanto alle zone più rurali troviamo città all’avanguardia. È un’intuizione che potrebbe funzionare bene perché crea lo scontro tra il sud rurale e razzista e il nuovo moderno e sofisticato che avanza e il libro potrebbe giovare dalla spinta avversa e contraria di questi due movimenti che convivono nello stesso stato.

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